Il cambio di destinazione d’uso di un immobile rappresenta un intervento urbanistico-edilizio attraverso il quale si modifica la funzione originaria di un edificio o di una sua parte, adattandolo a un diverso utilizzo. Questo processo è essenziale in un contesto come quello italiano, dove il patrimonio immobiliare è ampio e variegato e le esigenze abitative, commerciali e produttive sono in continua evoluzione.
Il cambio di destinazione d’uso può riguardare vari scenari, come la trasformazione di un immobile residenziale in uno spazio commerciale, l’adattamento di un capannone industriale a fini residenziali, o la riconversione di un edificio agricolo in una struttura ricettiva.
Ogni cambio, però, comporta specifiche implicazioni legali, urbanistiche e burocratiche, ed è soggetto a una regolamentazione rigorosa che mira a garantire la coerenza con le normative vigenti, la sicurezza degli edifici e il rispetto delle caratteristiche urbanistiche e paesaggistiche delle zone interessate.
Questo argomento assume particolare rilevanza per proprietari, acquirenti e professionisti del settore immobiliare, poiché il cambio di destinazione d’uso può influire significativamente sul valore dell’immobile, sulle possibilità di utilizzo e sugli obblighi fiscali. Inoltre, una corretta gestione del processo è fondamentale per evitare sanzioni e irregolarità che potrebbero compromettere la legittimità degli interventi effettuati.
Approfondiamo insieme e cerchiamo di capire cos’è e come si configura il cambio di destinazione d’uso di un immobile in Italia.
Di cosa parliamo in questo articolo
Quadro normativo di riferimento
Il cambio di destinazione d’uso di un immobile è regolato da un complesso insieme di norme che variano a seconda della tipologia di intervento e della localizzazione dello stesso. In Italia, la principale fonte normativa che disciplina queste operazioni è il DPR 380/2001, noto anche come Testo Unico dell’Edilizia (TUE), che costituisce il riferimento fondamentale per tutte le attività edilizie sul territorio nazionale.
Il Testo Unico dell’Edilizia stabilisce che il cambio di destinazione d’uso rientra tra le modifiche sostanziali della destinazione di un immobile, distinguendo tra modifiche che comportano interventi edilizi e quelle che non ne richiedono.
Le diverse tipologie di cambi di destinazione d’uso possono comportare l’obbligo di ottenere specifici titoli abilitativi, come la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) o il permesso di costruire, a seconda della complessità e dell’impatto dell’intervento.
Oltre al TUE, è fondamentale inoltre considerare le normative regionali e comunali, che possono introdurre ulteriori specificità e regolamenti particolari (si pensi, ad esempio, al Piano Regolatore Generale – PRG –
adottato da un singolo Comune). Le Regioni, infatti, hanno la facoltà di emanare leggi che disciplinano in modo più dettagliato o differenziato il cambio di destinazione d’uso, in base alle esigenze e caratteristiche specifiche del territorio.
Tipologie di destinazione d’uso: le categorie funzionali
L’articolo 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia distingue le destinazioni d’uso degli immobili in cinque principali categorie funzionali, fondamentali per definire la compatibilità urbanistica e le procedure relative al cambio di destinazione d’uso.
Le categorie funzionali indicate sono le seguenti:
- residenziale: comprende tutte le destinazioni d’uso legate all’abitazione, come appartamenti, ville, case unifamiliari, ecc;
- turistico-ricettiva: include le strutture destinate all’accoglienza di turisti, come alberghi, pensioni, bed & breakfast, campeggi, agriturismi, ecc.;
- produttiva e direzionale: comprende le destinazioni d’uso relative ad attività produttive (industrie, artigianato) e direzionali, come uffici e studi professionali;
- commerciale: si riferisce alle attività legate alla vendita di beni e servizi, includendo negozi, supermercati, centri commerciali, bar, ristoranti, ecc.;
- rurale: riguarda le attività agricole e altre attività connesse all’uso del territorio per scopi agricoli.
Queste categorie funzionali sono utilizzate per determinare la compatibilità tra diverse destinazioni d’uso, facilitando o rendendo più complesso il cambio di destinazione a seconda che le nuove e vecchie destinazioni appartengano alla stessa categoria o a categorie differenti.
Differenza tra cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante e non rilevante
La distinzione tra cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante e non rilevante è fondamentale per comprendere quali procedure e autorizzazioni sono necessarie quando si modifica la destinazione d’uso di un immobile.
Questa distinzione deriva dal fatto che alcuni cambiamenti possono avere un impatto significativo sull’assetto urbanistico e territoriale, mentre altri possono essere considerati più marginali.
Vediamo più nello specifico.
Cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante
Un cambio di destinazione d’uso è considerato urbanisticamente rilevante quando comporta il passaggio da una categoria funzionale a un’altra tra quelle definite dall’articolo 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia.
Poiché ogni categoria funzionale è associata a un diverso impatto sull’uso del suolo e sui servizi pubblici (come trasporti, parcheggi, infrastrutture, ecc.), il passaggio tra categorie può richiedere una revisione urbanistica più approfondita e spesso il rilascio di un titolo abilitativo edilizio, come il permesso di costruire.
Ad esempio, il passaggio dalla destinazione d’uso residenziale a quella commerciale potrebbe comportare un aumento del traffico veicolare, della necessità di parcheggi, e altre modifiche rilevanti per la pianificazione urbana.
Cambio di destinazione d’uso urbanisticamente non rilevante
Un cambio di destinazione d’uso è considerato urbanisticamente non rilevante quando avviene all’interno della stessa categoria funzionale o quando non comporta un impatto significativo sull’assetto urbanistico.
In questi casi, può essere effettuato con procedure semplificate, come la presentazione di una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), senza la necessità di ottenere un nuovo permesso di costruire.
Un classico esempio è il passaggio da ufficio a studio professionale, all’interno di un edificio già destinato a uso direzionale. Poiché entrambi gli usi rientrano nella stessa categoria funzionale e non alterano l’assetto urbanistico del contesto, il cambio è considerato non rilevante.
Per tutti i dettagli, rimandiamo al già citato articolo 23-ter del TUE.
Cambio di destinazione d’uso: le novità introdotte dal decreto Salva Casa
La Legge n. 105/2024, che ha convertito il Decreto Legge n. 69/2024 (conosciuto come “Salva Casa”), ha apportato modifiche all’art. 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia in materia di cambio di destinazione d’uso.
Una delle principali novità riguarda la modifica dell’articolo 23-ter del D.P.R. n. 380/2001, che chiarisce le modalità per il cambio di destinazione d’uso, con e senza l’esecuzione di opere edilizie, specialmente nelle aree urbane.
Nel dettaglio, viene specificato che i cambi di destinazione d’uso senza opere – ovvero quelli che non richiedono interventi edilizi – rientrano nell’edilizia libera e non necessitano di permessi specifici.
Il cambio di destinazione d’uso sarà consentito esclusivamente all’interno di quattro categorie funzionali:
- residenziale;
- turistico-ricettiva;
- produttiva e direzionale;
- commerciale.
Tali cambiamenti sono ammessi solo per unità immobiliari situate nelle zone A), B) e C) del Decreto Ministeriale 1444/1968, che comprendono rispettivamente le aree storiche, artistiche e ambientali; le zone già edificate con elevata densità; le zone destinate a nuovi insediamenti.
Inoltre, i Comuni hanno facoltà di imporre condizioni specifiche per il cambio di destinazione d’uso, potendo richiedere che l’uso della nuova unità immobiliare sia coerente con quello prevalente nelle altre unità presenti nell’edificio. In questi casi, non è necessario prevedere ulteriori aree per servizi di interesse generale o rispettare la dotazione minima obbligatoria di parcheggi, come stabilito dal Decreto Ministeriale del 1968 e dalle normative regionali. Rimane, però, l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione secondaria, qualora previsto.
Infine, viene facilitata la modifica della destinazione d’uso di primi piani e seminterrati. I cambi di destinazione d’uso richiedono la presentazione di una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) se non sono necessarie opere edilizie, oppure del titolo edilizio appropriato per eseguire le opere necessarie.