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Gli stipendi reali degli italiani continuano a diminuire

A cura di:

Ottobre 22, 2024

Gli stipendi reali degli italiani continuano a diminuire

Negli ultimi anni, i salari reali degli italiani hanno subito una contrazione significativa, in gran parte a causa dell’aumento dell’inflazione e delle difficoltà economiche globali. 

Come evidenziato da alcuni report che andremo a illustrare, nonostante i recenti aumenti salariali nominali, il potere d’acquisto continua a ridursi, incidendo negativamente sulle condizioni di vita delle famiglie e sulla stabilità economica del Paese. 

Approfondiamo insieme i dati a nostra disposizione, dai quali emerge una fotografia davvero sbiadita del potere di acquisto delle famiglie italiane

I dati della Commissione Europea

Lo scorso maggio, la Commissione Europea ha pubblicato uno studio dal titolo “Country analysis on social convergence in line with the features of the Social Convergence Framework (SCF)”, al cui interno troviamo una analisi della situazione del nostro Paese

Secondo quanto riportato nello studio, infatti, l’Italia è stata individuata “come un Paese che potrebbe affrontare rischi per la convergenza sociale verso l’alto”, a causa di determinati parametri analizzati, tra cui tasso di occupazione, divario occupazionale di genere e reddito disponibile lordo reale pro capite delle famiglie

L’espressione “convergenza sociale verso l’alto” utilizzata dalla Commissione Europea, in inglese “Upward convergence”, è un concetto di difficile enucleazione, che l’UE definisce come “miglioramento delle prestazioni insieme a una riduzione delle disparità tra gli Stati membri in un dato indicatore socioeconomico”.

Cosa vuol dire? Semplificando, significa provare a ottenere risultati migliori per tutti, cercando al contempo di rendere le condizioni socioeconomiche più omogenee tra i diversi Stati dell’Unione Europea.

Entriamo più nel dettaglio. 

Salari italiani

Come anticipato in apertura, la crescita dei salari nominali non è stata sufficiente a recuperare le perdite di potere d’acquisto causate dall’aumento dell’inflazione conseguente alla crisi energetica provocata dal conflitto russo-ucraino. 

I salari italiani sono strutturalmente bassi: tra il 2013 e il 2022, la crescita dei salari nominali per occupato è stata del 12%, la metà della crescita a livello UE (23%), mentre il potere d’acquisto dei salari è diminuito del 2%, contro un aumento del 2,5% nell’UE. 

Allo stesso tempo, la crescita della produttività è stata inferiore rispetto all’UE (+0,4% contro +1,6% dal 1995 al 2022). In questo contesto, la retribuzione nominale dei dipendenti è aumentata del 4,7% nel 2022 e del 3,8% nel 2023, grazie agli incrementi dei salari contrattuali. Tuttavia, i salari reali sono diminuiti di circa il 2,3% nel 2023, dopo un calo del 4% nel 2022, a causa dell’elevata inflazione

Rischio povertà

La stagnazione salariale, la bassa intensità lavorativa e i tassi di occupazione ridotti, insieme all’alto numero di famiglie con un solo percettore di reddito, comportano rischi significativi di povertà lavorativa

Nel 2022, il tasso di rischio di povertà per le persone occupate in Italia è tra i più alti nell’UE (11,5% contro l’8,5%). A esserne interessati sono soprattutto i cittadini non UE (28% rispetto al 24,3% nell’UE) e i lavoratori a bassa qualifica (18,7% contro 18,4% nell’UE). 

La crescita salariale strutturalmente bassa è un fattore importante, che riflette in parte il ritardo nella crescita della produttività del nostro Paese. Inoltre, la bassa intensità lavorativa dovuta a forme di lavoro non standard aggrava ulteriormente il rischio di povertà lavorativa. 

Tra i lavoratori part-time, il 19,9% è a rischio di povertà (contro il 13,5% nell’UE), mentre tra i dipendenti a tempo determinato queste percentuali sono rispettivamente del 16,2% e del 12,2%. I lavoratori a basso reddito affrontano un rischio maggiore di povertà anche perché spesso vivono in famiglie in cui altri membri non sono occupati o hanno lavori a bassa intensità.

I dati dell’Osservatorio JobPricing

L’Osservatorio JobPricing ha pubblicato di recente un report, dal titolo Salary Outlook 2024, dal quale emerge una condizione a dir poco preoccupante delle retribuzioni degli italiani

L’Italia, infatti, è al 10 posto tra i Paesi dell’Eurozona:

stipendi italiani

La retribuzione media annua nel nostro Paese rimane tra le più basse sia nei Paesi OCSE che in Europa. Con una media di circa 44.893 dollari a parità di potere d’acquisto (PPA), l’Italia si posiziona al 21° posto tra i 34 Paesi dell’OCSE

Questo valore è significativamente inferiore alla media OCSE, che si attesta a 53.416 dollari, con una differenza di 8.523 dollari. Rispetto al Paese in cima alla classifica OCSE, il guadagno medio in Italia è inferiore di 34.580 dollari, mentre rispetto al Messico, che occupa l’ultimo posto, il guadagno medio italiano è superiore di 28.208 dollari.

È interessante notare che, tra i 17 Paesi dell’Eurozona presi in esame, l’Italia si colloca al 10° posto, al di sotto di nazioni come Lussemburgo, Germania e Francia, mentre la Grecia chiude la classifica con una retribuzione media di 25.979 dollari.

I salari netti

Come evidenziato dal report, ciò che conta di più per i lavoratori è il loro reddito netto, piuttosto che il salario annuo lordo. Sebbene il salario annuo, in termini di parità di potere d’acquisto, fornisca una panoramica dei guadagni complessivi, il principale fattore determinante è la tassazione.

Purtroppo, il carico fiscale nel nostro Paese è molto alto. Riportiamo, di seguito, alcuni dati rilevanti sul cuneo fiscale e la tassazione nei Paesi europei contenuti nel report di JP:

stipendi italiani

Come si può evincere da questo grafico, la media OCSE del cuneo fiscale è pari al 34,6%, mentre in Italia è al 45,9%, il terzo valore più alto in assoluto, dopo Belgio e Germania. 

Per quanto riguarda, invece, i contributi sociali, in Italia essi sono distribuiti per il 24% a carico delle aziende e per il 6,6% a carico dei lavoratori (in calo rispetto al 7,2% del 2021).

stipendi italiani
stipendi italiani

Potere d’acquisto

A parità di potere d’acquisto, i livelli salariali nella maggior parte dei Paesi OCSE hanno subito un significativo calo rispetto agli anni precedenti. Questa perdita di potere d’acquisto è dovuta principalmente alla crescita dell’inflazione, scaturita da vari eventi socioeconomici e politici, tra cui l’aggressione russa in Ucraina, la lenta ripresa dalla pandemia di COVID-19 e i problemi nella catena di approvvigionamento delle materie prime.

Nel 2022, la maggior parte dei Paesi OCSE ha visto una riduzione del salario medio reale annuo rispetto al 2021. In particolare, in Italia si è registrato un calo del 2,3% nel 2022, un dato significativo se paragonato all’aumento del 4% registrato nel 2021.

stipendi italiani

Questa tendenza evidenzia l’effetto combinato dell’inflazione e delle difficoltà economiche globali sul potere d’acquisto dei lavoratori.

I salari italiani non crescono da più di 20 anni

I salari italiani sono rimasti allo stesso livello negli ultimi 23 anni (2000-2022), come si può facilmente notare guardando questo grafico. 

stipendi italiani

Anche nei casi in cui è stato registrato un aumento della RAL dei contratti italiani, questa crescita salariale – che va dall’1,3% dei dirigenti al 2,2% di quadri e operai – deve fare i conti con il tasso di inflazione, che nel 2023 si è assestato sul 5,6%. Insomma, nonostante l’aumento dei salari nominali, i lavoratori hanno perso potere d’acquisto.

stipendi italiani

Anche allargando l’analisi al periodo 2015-2023, il risultato non cambia nella sostanza: nessuna categoria contrattuale ha aumentato i salari reali, poiché tutte sono cresciute di una percentuale inferiore rispetto alla crescita dei prezzi.

stipendi italiani

Conclusioni

La continua riduzione dei salari reali in Italia rappresenta una sfida essenziale per il benessere economico dei cittadini e per la competitività del Paese. Le dinamiche degli ultimi anni, come la galoppata dell’inflazione e la contemporanea stagnazione della produttività, hanno contribuito a questa tendenza preoccupante che però, come visto, ha radici ben più strutturali e remote nel tempo. 

Affrontare efficacemente questi problemi richiede politiche mirate a stimolare la crescita economica, aumentare la produttività e garantire che i lavoratori italiani possano beneficiare di un adeguato potere d’acquisto, soprattutto in un contesto sempre più globale e competitivo.

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FENEALUIL-House organ n. 11
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