L’accertamento di compatibilità paesaggistica rappresenta un procedimento amministrativo finalizzato a verificare se un’opera realizzata in assenza o in difformità dall’autorizzazione rilasciata impatti sui valori e obiettivi di tutela indicati dal provvedimento di vincolo.
Si tratta di un istituto normato dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (D.Lgs. 42/2004), specificamente pensato per la regolarizzazione di determinate opere eseguite in aree soggette a vincolo paesaggistico.
La sua finalità primaria è garantire la protezione e la conservazione dei valori paesaggistici, stabilendo un dialogo necessario tra chi interviene sul territorio e le autorità preposte, con l’obiettivo di conciliare lo sviluppo con la tutela del patrimonio paesaggistico. Attraverso questo accertamento, è possibile ottenere un’autorizzazione paesaggistica postuma per interventi già realizzati, ma solamente in specifici casi tassativamente previsti dalla legge.
È fondamentale sottolineare che l’accertamento di compatibilità paesaggistica non deve essere confuso con una “sanatoria paesaggistica”. Quest’ultima, come titolo autorizzativo per opere abusive nel contesto paesaggistico, semplicemente non esiste.
La tutela del paesaggio mira a prevenire un danno, non a correggerlo ex post. Pertanto, l’alterazione del paesaggio non può ritenersi vanificata da una successiva autorizzazione in sanatoria.
L’accertamento, nei casi consentiti, verifica se l’intervento sia, di fatto, compatibile con le prescrizioni e i valori paesaggistici da tutelare; in caso contrario, scatta l’obbligo di rimessione in pristino.
Di cosa parliamo in questo articolo
Dove è necessario l’accertamento?
L’accertamento di compatibilità paesaggistica è un procedimento specifico che si applica esclusivamente agli interventi realizzati in aree soggette a tutela paesaggistica (sottoposte a vincolo). Non è, quindi, una procedura generalizzata, ma uno strumento pensato per verificare la compatibilità di opere già eseguite in zone di particolare pregio o interesse.
Secondo il summenzionato Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, l’accertamento può essere richiesto per interventi abusivi (ossia, realizzati in assenza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica) che ricadono essenzialmente in due categorie principali di aree tutelate:
- Aree soggette a vincolo paesaggistico per decreto: si tratta di quelle aree definite di notevole interesse pubblico, come specificato dall’articolo 136 del Codice. Queste includono:
- Immobili con cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica (es. alberi monumentali)
- Ville, giardini e parchi di non comune bellezza (non già tutelati come beni culturali)
- Complessi di immobili che formano un aspetto caratteristico di valore estetico e tradizionale (inclusi centri e nuclei storici)
- Bellezza panoramiche e punti di vista accessibili al pubblico da cui si goda di tali bellezze
- Aree tutelate per legge (le cosiddette “zone Galasso”, in riferimento alla L. 431/85, anche nota come “Legge Galasso”): stabilite dall’articolo 142 del Codice, queste aree sono considerate di interesse paesaggistico ope legis, ovvero per loro stessa natura. Tra queste figurano:
- Territori costieri (fascia di 300 metri dalla battigia)
- Territori contermini ai laghi (fascia di 300 metri dalla battigia)
- Fiumi, torrenti, corsi d’acqua iscritti negli elenchi pubblici e le relative sponde (fascia di 150 metri)
- Montagne oltre determinate altitudini (1.600 metri per le Alpi, 1.200 metri per Appennini e isole)
- Ghiacciai e circhi glaciali
- Parchi e riserve nazionali o regionali e i loro territori di protezione esterna
- Territori coperti da foreste e boschi (anche se percorsi dal fuoco o vincolati al rimboschimento)
- Aree assegnate alle università agrarie e zone gravate da usi civici
- Zone umide incluse in specifici elenchi
- Vulcani
- Zone di interesse archeologico
Pertanto, l’accertamento di compatibilità paesaggistica diventa necessario quando si sono realizzate opere in assenza o difformità dall’autorizzazione richiesta, e l’immobile o l’area interessata rientra in una delle specifiche tipologie di vincolo paesaggistico stabilite dalla legge.
Quali sono gli interventi ammissibili per l’accertamento di compatibilità?
Come abbiamo visto, l’accertamento di compatibilità paesaggistica è un procedimento eccezionale per regolarizzare opere in aree vincolate, e non si applica a qualsiasi intervento abusivo. La possibilità di ottenere un’autorizzazione paesaggistica postuma, successiva alla realizzazione dell’intervento, è stata introdotta nel Codice, ma è strettamente limitata a specifici casi previsti dalla legge.
Nello specifico, l’articolo 167, comma 4, del D.Lgs. 42/2004, insieme all’articolo 181, comma 1-ter, individua tassativamente le tipologie di interventi per i quali l’accertamento della compatibilità paesaggistica è consentito.
Vediamoli di seguito:
- Lavori realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati. Questa è una categoria fondamentale che esclude interventi che modificano in modo significativo la volumetria o la superficie calpestabile dell’immobile o dell’area.
- Impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica. Rientrano qui i casi in cui, pur avendo rispettato forme e dimensioni, siano stati utilizzati materiali diversi (es. un colore della facciata non autorizzato, un tipo di rivestimento diverso).
- Lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del D.P.R. 380/2001. Questa categoria include interventi meno invasivi che rientrano nella manutenzione, anche se eseguiti senza l’autorizzazione paesaggistica necessaria.
Il Ministero per i beni e le attività culturali, con la circolare n. 33/2009, ha fornito chiarimenti sui termini utilizzati nell’articolo 167, definendo:
- Lavori: interventi su fabbricati già esistenti in modo legittimo o strettamente connessi all’utilizzo di altri immobili/aree, che non alterino le caratteristiche peculiari del paesaggio, purché conformi ai piani paesaggistici.
- Superfici utili: qualsiasi superficie utile, a prescindere dalla sua destinazione, con l’eccezione di logge, balconi e portici (se rispettano determinate condizioni dimensionali). Recentemente, la giurisprudenza ha specificato che non rientra nella nozione di “superficie utile” una struttura meramente accessoria e strumentale, come una pedana per l’imbarco, non destinata a usi autonomi.
- Volumi: qualsiasi manufatto chiuso che emerga dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato esistente, escludendo i volumi tecnici (anche se in ambito paesaggistico i volumi tecnici non sono considerati irrilevanti ai fini autorizzativi).
Ricordiamo che, per gli interventi che non rientrano in queste tre specifiche categorie indicate dall’Articolo 167 comma 4, l’accertamento di compatibilità paesaggistica non è ammissibile. In questi casi, l’esito non può essere la regolarizzazione, ma scatta l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi preesistente.
Sebbene recenti modifiche legislative, come quelle introdotte dal Decreto “Salva Casa” (D.L. 69/2024 convertito in L. 105/2024) con l’aggiunta dell’articolo 36-bis nel D.P.R. 380/2001, abbiano introdotto nuove e limitate possibilità di accertamento della compatibilità paesaggistica anche per specifici casi che comportano la creazione di superfici o volumi (riferiti agli interventi di cui all’articolo 36-bis comma 1), al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dall’articolo 36-bis comma 1, l’articolo 167 del Codice continua ad applicarsi integralmente.
Questo significa che, per tutti gli altri casi, le limitazioni imposte dalla legge (inclusa l’esclusione degli interventi con creazione/aumento di superfici utili o volumi) rimangono pienamente valide.
Qual è la procedura di accertamento?
Come si svolge, concretamente, questa procedura? Quali sono i passaggi da seguire e chi sono gli attori coinvolti?
L’iter procedurale per ottenere l’autorizzazione paesaggistica postuma è normato, in linea generale, dall’articolo 167 del Codice, con integrazioni e chiarimenti forniti da normative successive, tra cui il più recente Decreto “Salva Casa” e le relative circolari interpretative.
Vediamo, allora, quali sono i passaggi chiave della procedura di accertamento della compatibilità paesaggistica.
Chi presenta la domanda e dove?
La richiesta di accertamento viene presentata dal proprietario, possessore o detentore dell’immobile o dell’area interessata.
La domanda specifica deve essere rivolta all’autorità preposta alla gestione del vincolo, che può essere la Regione o un ente pubblico da essa delegato, come il Comune, la Provincia, l’Ente Parco, o la Città Metropolitana.
Qual è la documentazione necessaria?
Affinché la pratica sia accettata, il richiedente deve allegare una serie di documenti essenziali, a cominciare dalla Relazione Paesaggistica, redatta ai sensi del D.P.C.M. 12 dicembre 2005 (che attua l’articolo 146 del Codice).
Questa relazione deve approfondire gli aspetti paesaggistici del contesto, i vincoli presenti e l’impatto che l’intervento realizzato ha avuto (o avrebbe avuto, nel caso di accertamento) sul contesto tutelato.
Altri documenti richiesti sono i seguenti:
- una relazione tecnica dettagliata (con dimensioni, materiali, caratteristiche costruttive);
- documentazione fotografica (dettaglio e d’insieme, con punti di ripresa);
- elaborati grafici quotati e a scala adeguata che mostrino lo stato autorizzato, lo stato realizzato, e uno stato di raffronto comparativo per evidenziare le modifiche non autorizzate. In alcuni casi, può essere richiesto il calcolo dei volumi modificati;
- documenti di identità;
- quietanze di pagamento;
- asseverazione di un tecnico circa la conformità urbanistica (ove possibile).
Verifica preliminare e ammissibilità
L’ente che riceve l’istanza (Regione o ente delegato) avvia il procedimento e verifica la completezza della documentazione.
Viene quindi effettuata una valutazione obbligatoria sull’ammissibilità dell’istanza ai sensi dell’articolo 167 del Codice, a volte tramite una Commissione Paesaggistica.
Se la documentazione è incompleta, vengono richieste integrazioni, di solito entro 90 giorni. La mancata integrazione entro i termini rende la domanda improcedibile e archiviata.
Se, invece, la richiesta non rientra nei casi tassativamente previsti dall’articolo 167, comma 4, la domanda è ritenuta inammissibile.
Il ruolo e il parere della Soprintendenza
Se l’istanza è ritenuta ammissibile e la documentazione completa, viene trasmessa alla Soprintendenza competente per territorio, che emette un parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento realizzato.
Il termine perentorio per il rilascio del parere della Soprintendenza è di 90 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte dell’autorità procedente.
Gli esiti del parere della Soprintendenza possono essere i seguenti:
- parere positivo, entro i 90 giorni;
- parere negativo, entro i 90 giorni. In questo caso, si va verso il rigetto della domanda;
- silenzio-assenso: se la Soprintendenza non si pronuncia entro il termine perentorio di 90 giorni, scatta il silenzio-assenso (come previsto dall’articolo 17-bis della L. 241/1990). In questo caso, l’autorità procedente può provvedere autonomamente. Il Ministero della Cultura raccomanda di limitare al massimo questa evenienza, incentivando le Soprintendenze a emettere il parere nei termini stabiliti.
La decisione finale dell’autorità competente
L’autorità preposta ha un termine complessivo di 180 giorni dalla data di ricezione della domanda per pronunciarsi sull’accertamento di compatibilità paesaggistica. Questo termine include i 90 giorni per il parere della Soprintendenza.
Sulla base della propria istruttoria e del parere vincolante della Soprintendenza (espresso o per silenzio-assenso), l’autorità emette il provvedimento finale, che prevede i seguenti esiti possibili:
- Compatibilità accertata: se l’intervento realizzato viene giudicato compatibile con i valori paesaggistici tutelati (generalmente a seguito di un parere positivo o silenzio-assenso della Soprintendenza), il trasgressore è tenuto al pagamento di una sanzione pecuniaria. L’importo è determinato tramite perizia di stima ed è pari al maggiore tra il danno arrecato e il profitto conseguito. Solo dopo il pagamento della sanzione viene emesso il provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica.
- Rigetto della domanda: se la compatibilità paesaggistica non viene accertata (generalmente a seguito di un parere negativo della Soprintendenza), la domanda viene rigettata. In questo caso, scatta l’obbligo di ripristinare lo stato dei luoghi preesistente (sanzione demolitoria).
Le novità introdotte dal Decreto “Salva Casa”
Come accennato, il Decreto “Salva Casa” ha introdotto significative novità riguardo all’accertamento di compatibilità paesaggistica.
La principale è l’inserimento dell’articolo 36-bis nel Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), che stabilisce una procedura specifica e, per certi aspetti, autonoma rispetto a quella generale disciplinata dall’articolo 167 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
La novità più rilevante introdotta dall’articolo 36-bis, comma 4, del TUE è che, per specifici interventi, il dirigente o responsabile dell’ufficio competente possono richiedere all’autorità preposta alla gestione del vincolo il parere vincolante sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento anche nel caso di lavori che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi ovvero l’aumento di quelli legittimamente realizzati.
Questa disposizione del nuovo articolo 36-bis, comma 4, appariva testualmente disallineata rispetto all’articolo 167, comma 4, lettera a), del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, il quale, per l’accertamento di compatibilità, consentiva tale procedura solo per i lavori che non avessero determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati.
A fare chiarezza è arrivata la Circolare del Ministero della Cultura (n. 19 del 4 aprile 2025), che ha fornito chiarimenti su questa apparente contraddizione, ritenuta solo apparente e risolvibile applicando il criterio cronologico (la legge successiva prevale). Inoltre, l’articolo 36-bis non deroga ai principi del Codice BCP, in quanto il parere della Soprintendenza mantiene la sua natura vincolante.
Quindi, la possibilità di accertamento anche con creazione/aumento di superfici utili o volumi, prevista dall’articolo 36-bis, si applica esclusivamente ai casi tassativamente previsti dal comma 1 dello stesso articolo 36-bis, che includono:
- Interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla SCIA nelle ipotesi dell’articolo 34 del TUE.
- Interventi realizzati in assenza o difformità dalla SCIA nelle ipotesi dell’articolo 37 del TUE (applicabile anche alle variazioni essenziali di cui all’articolo 32 del TUE).
Inoltre, il Ministero chiarisce espressamente che al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dal comma 1 dell’articolo 36-bis, l’articolo 167 del Codice continua ad applicarsi integralmente. Ciò significa che, per tutti gli interventi abusivi in area vincolata che non rientrano negli specifici casi di “parziale difformità” o “variazioni essenziali” definiti dal comma 1 dell’articolo 36-bis, la regola originale dell’articolo 167 che esclude l’accertamento per interventi con creazione/aumento di superfici utili o volumi resta pienamente valida.